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E me ne vado

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E me ne vado

 

Non credo

nell’entusiasmo che esce lento

nella foga che muta

nell’atto che si compie

da sé

 

Non credo

nel battito che si trasforma

nella sostanza scissa

né in quella parte eterea — a troppi poco chiara

 

Non credo

al dono di Natura

alla Fortuna

all’acquietarsi dello spirito

che si fa saggio

 

Non credo nella veglia

distinta in sogno

non credo nel tepore

più che al torpore

 

Non credo nella

scelta del maestro

nell’incontro fatale

nell’incrociarsi dello sguardo

che splende solo dopo

riesumato dal ricordo

preda casuale di sinapsi lese  — o salve

 

Non credo alla creazione

nata dal pianto

ma so per certa la convenienza

di una gloria postuma

cui non si deve diritto d’autore

E mi sottraggo   

 Fabrizio Giulietti - 03/11/2019 14:31:00 [ leggi altri commenti di Fabrizio Giulietti » ]

che aggiungere?... ottima...

 Nando - 15/12/2016 06:58:00 [ leggi altri commenti di Nando » ]

Fin dalla prima lettura, mi è piaciuta la disposizione grafica del testo e una certa "timbrica" che credo sia originata da quel "non credo" ripetuto ad incipit, poi "morente" in quel "ma so per certa...
"(preferisco il femminile)_"... la convenienza/di una gloria postuma" e senza diritti d’autore; maturerà poi, lentamente, una riflessione sul contenuto, ma intanto l’esperienza poetica mi è stata data, proprio in forza della forma; ancorché alcune prime annotazioni si possono già redigere:
Il significativo contrasto tra maiuscole e minuscolo di tre parole, Natura, Fortuna e spirito, è significativo e costitutivo della lettura filosofico-esistenziale con cui la Poetessa interpreta o non interpreta la Realtà; un altro passaggio, poeticamente efficace e altrettanto significativo è nei versi (davvero un insieme stupendo) “nell’incrociarsi dello sguardo/che splende solo dopo/
riesumato dal ricordo/preda casuale di sinapsi lese — o salve”, che, assieme alla gloria postuma, sembrano rivelare uno sguardo non pessimista ma senza dubbio profondamente ipercritico e disincantato verso una convenzionalità culturale intesa come forma mentis che non libera ma imprigiona, non svela ma falsifica il dato esperienziale. Ecco, allora, il finale ribelle ma non gridato e tuttavia protestato: “E mi sottraggo”. Una sottrazione che diventa vittoria o autenticamente “anarchica” affermazione dell’irriducibilità del soggetto a massa o a classe, perché fondato sulla libertà o in tensione di massima libertà.















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